Lo scultore, il marmo e il robot

Lo scultore, il marmo e il robot

mori

di mori

MINUCCIANO - Due statue: un David armato di martello penumatico e un Quadratore, colui che taglia il marmo. Sono le figure, che Filippo Dobrilla sta realizzando con l’aiuto del robot del polo tecnologico di Gramolazzo.

La tecnica è semplice: un laser scansiona in tre dimensioni il bozzetto di gesso e il robot fresa la pietra, fino a ottenere nelle dimensioni desiderate, un’opera sbozzata, dove lo scultore deve realizzare le ultime rifiniture. A parlare di Dobrilla e delle sue opere e della nuova tecnica è arrivato anche Vittorio Sgarbi. Che ha spiegato come questa tecnica non alteri la creazione artistica e il suo processo. Lo scultore si colloca ancora in un ambito figurativo legato alla tradizione toscana, michelangiolesca e donatelliana.Rimena però, al di la della parole di Sgarbi, la questione dell’utilizzo di un macchinario, che se da un lato risparmia fatica e sudore allo scultore, dall’altro avvicina l’opera d’arte a un processo seriale, in una dimensione di riproducibilità tecnica. Il rischio rimane quello sollevato nel 1936 da Benjamin: l’opera d’arte perde quell’aura che derivava dall’unicità di un processo creativo, in questo caso forse sottratto dalla macchina all’artista. La fatica e la sofferenza demiurgica di Nanni di Banco, Donatello, Michelangelo e molti altri, che traevano la figura dal marmo, avevano quindi un valore che si trasferiva nella materia plasmata e alla fine rendeva unico e irripetibile il gesto artistico anche per il fruitore più improbabile.