di Antonio Amatulli, psicologo
Ci sono momenti nella vita in cui ci sentiamo persi, distrutti. Senza speranza. Sono quelle situazioni dove vediamo tutto nero, non sappiamo più cosa dire e viviamo emozioni molto dolorose.
Cosa fare, in questi casi?
Il domandarsi cosa fare è la tipica domanda con cui ci tormentiamo l’anima. Ma è quella utile?
Non proprio.
Il “saper cosa fare” è sempre conseguenza di altro: di una visione chiara delle cose, di una consapevolezza nei nostri valori, nel sapere i nostri obiettivi. Di conseguenza, il fare si allinea spontaneamente e agire diventa spontaneo.
Cosa significa questo? Che quando non sappiamo più cosa fare, o abbiamo perso la nostra bussola o abbiamo fatto tutto il possibile potesse essere fatto in quel momento.
Quindi possiamo solo aspettare.
In mare aperto, nel pieno della tempesta, c’è poco da fare. C’è solo da aspettare che la tempesta si calmi. Nessuno si tufferà per una bella nuotata, nessuno proverà a pescare qualcosa o a prendere il sole.
Questo non significa rimanere in balia e basta. Significa che quando soffia una tempesta (metaforica e non), l’unica cosa da fare è mettersi al riparo e aspettare che passi.
Occorre fare come fanno i marinai: posizionare la barca in modo tale da subire il minor impatto del vento e delle onde. Per poi aspettare e sperare che tutto vada per il meglio.
Quella del marinaio non è una rinuncia al navigare, ma la massima scelta possibile quando non si sa cosa altro fare.
Nelle relazioni umane, è la stessa cosa: o abbiamo perso la bussola, i nostri valori, i nostri obiettivi, che ci farebbero capire come agire, oppure siamo in una situazione così buia che possiamo solo metterci in un angolo, proteggerci, coccolarci e ricaricare le batterie. ad un certo punto la notte sarà meno notte e potremo tornare a vedere.