di Antonio Amatulli, psicologo
No, non sto parlando della positività al Covid, ma dell’attitudine a cercare sempre il lato positivo delle cose.
- Hai un incidente? C’è chi sta peggio.
- Litighi con il marito? Sii grato di averlo.
- Il capo non ti valorizza? Ringrazia do avere un lavoro.
Che possono essere dette da chi ti sta attorno, per sollevarti il morale, ma che il più delle volte sono solo dita nella piaga.
Sicuramente è capitato anche a te, sia di fare così che di ricevere questo… “trattamento”.
Ma è utile? Dipende dal vero motivo per cui l’altro ci sta parlando.
- Ci chiede un sostegno? Ok, proviamo a dargli un punto di vista rincuorante.
- Lo fa solo per lamentarsi? Allora è utile dargli una svegliata.
- Ma se ha bisogno di sfogarsi e basta? Allora no. In quel caso chi abbiamo davanti chi cerca una spalla su cui piangere, per sentirsi autenticamente capito.
Quando parliamo per essere ascoltati, vogliamo essere visti e sentiti e nulla più. Qualsiasi intervento minimizzante viene vissuto come un ulteriore stress.
Minimizzare è una violenza che facciamo a noi stessi (si, a volte lo siamo con noi stessi), sia con gli altri.
Un po’ come guardare una ferita sgorgante sangue per poi dire che è un graffio, ignorando il sangue che esce.
E’ come una brutta infezione la quale, anziché lavarla, ci posiamo sopra un panno morbido.
In questi due paralleli è palese il pericolo di queste azioni. Quando una persona soffre e si apre per sfogarsi, è come se ha una ferita per la quale chiede cure attente e precise venisse trattata come un graffio. Non possiamo ridurre tutto ad un: “C’è chi sta peggio”, “ringrazia per quello che hai” o un “Occorre essere sempre felici, non possiamo permetterci la tristezza”.
Frasi così funzionano quando va tutto bene, come linee di guida indicative. Ma quando si sta male, male veramente, occorre fermarsi e prendere sul serio il nostro (e altrui) dolore.
E come fare, per distinguere chi soffre realmente da chi invece si lamenta è basta?
Lo vedremo nella prossima puntata.